Centro visite di Cimolais (PN)

Centro visite di Cimolais (PN)

Orario di apertura

ORARIO DI APERTURA DICEMBRE 2024 E FESTIVITA’ NATALIZIE

Sabato e Domenica 10.00-12.00 / 14.00-17.00
Da Martedì 24 Dicembre al 6 Gennaio APERTO 10.00-12.00 / 14.00-17.00
(Chiuso il giorno di Natale)
Mercoledì 1 Gennaio solo pomeriggio 14.00-17.00

Il Centro visite

Mostra “La fauna del Parco”

Inaugurato il 24 maggio 2008 il Centro visite di Cimolais cambia veste. Un’esposizione divisa in quattro sezioni dedicate interamente alla Fauna del Parco attraverso un percorso interattivo e multimediale. Novità: il Pavimento Interattivo e Dinamico dove il visitatore può interagire con le immagini di sfondo, modificandole a piacimento.

Questo Centro visite è situato al piano terra dell’edificio che ospita anche la sede amministrativa del Parco. È composto da diverse sezioni che conducono il visitatore attraverso un percorso studiato appositamente per dare un quadro specifico e approfondito sulla fauna del Parco. All’entrata il visitatore ha a disposizione delle informazioni generali sui tre parchi partner del progetto: il Parco Dolomiti Friulane, il Parco Prealpi Giulie e il Parco Nazionale del Triglav. Inoltre è possibile conoscere attraverso pannelli specifici gli altri Centri visite del Parco e i principali Punti di interesse. Un plastico a parete ricostruisce il perimetro del parco e una proiezione mette in risalto la mappa territoriale che a rotazione mostra descrizioni e collocazione di principali casere, punti di interesse, rifugi, sentieri e Centri visite. Proseguendo verso il corridoio si trovano altri pannelli descrittivi e informativi su FAUNA, FLORA e GEOLOGIA del Parco. Un espositore mostra reperti naturali riguardanti queste tre caratteristiche principali. E’ possibile osservare ad esempio un lichene, un palco di capriolo o un calcare marnoso. La prima sala contiene invece un percorso particolare che divertirà sia grandi che piccini. A parete sono raccolte le caratteristiche principali dei tre animali più conosciuti del Parco: aquila, camoscio e marmotta. L’intera parete di fronte ospita un espositore con oggetti estraibili contenenti reperti reali di animali come piume, crani, pelli, uova ma anche ricostruzioni di impronte. Aprendo i cassetti sonori si possono sentire il verso del camoscio, il verso della marmotta e quello dell’aquila. E in altri scoprire e vedere con i propri occhi come è fatto il giaciglio del camoscio o la tana della marmotta.

Scarica il pieghevole informativo 

LA FAUNA

Il percorso prosegue fino al Pavimento interattivo e dinamico costruito in una sala attrezzata con video proiettori appositi che mostrano delle immagini sensibili: toccandole si può soffiare via la nebbia dagli alberi e dalle pareti delle montagne, si possono calpestare foglie secche oppure lasciare le impronte sulla neve.  L’ultima parte del corridoio conclude la mostra con degli approfondimenti su:

I pannelli descrittivi sono completati da suggestivi e imponenti quadri a parete, realizzati da Mario Alimede, dove si possono riconoscere i vari animali dipinti nel loro ambiente naturale.

Info e contatti
Geomorfologia

La geomorfologia ha per fine lo studio e l’interpretazione del rilievo terrestre. Studia cioè le forme che determinano l’aspetto di un paesaggio e le cause che sono all’origine di tali forme. L’aspetto di ciò che ci circonda è il risultato di una serie di fenomeni che possono essere raggruppati in due grandi categorie:

  • processi endogeni (fenomeni tettonici, sismici, vulcanici)
  • processi esogeni (fenomeni legati all’atmosfera, all’idrosfera, alla biosfera)

Le forme del rilievo terrestre risultano di solito dalla sovrapposizione degli uni e degli altri processi. Se consideriamo i lineamenti del rilievo terrestre in grande, essi appaiono soprattutto come il risultato dei processi endogeni a cui si deve la struttura della crosta terrestre: masse continentali; bacini, fosse e dorsali oceaniche; grandi catene montuose. Se invece osserviamo più da vicino un’area limitata della superficie terrestre ci si presentano, in tutta la loro varietà, le forme del modellamento dovuto ai processi esogeni: valli d’erosione, pianura e terrazzi alluvionali, forme carsiche. In natura esistono diversi processi ed agenti che determinano nel tempo un cambiamento delle forme del paesaggio. La geomorfologia strutturale studia le forme legate alla “struttura geologica” di una determinata area; queste possono essere influenzate da:

  • tettonica (giuntura degli strati, presenza di faglie)
  • stratigrafia (presenza di rocce diverse nella successione sedimentaria)
  • tipo di roccia (dalle sue caratteristiche nei confronti dell’erodibilità)

La geomorfologia antropica invece si interessa alle forme causate o influenzate direttamente e indirettamente dalle attività umane. Essendo ormai l’uomo diventato un agente modificatore del rilievo terrestre che supera in incisività e diffusione molti processi naturali.

I BACINI IDROGRAFICI

Il territorio che raccoglie le acque di precipitazione e le fa confluire in uno stesso corso d’acqua è detto bacino idrografico; tale bacino è delimitato da linee spartiacque che corrono sulle creste dei rilievi, separando così un bacino dall’altro. I bacini idrografici hanno dimensioni molto varie a seconda dell’importanza dei corsi d’acqua ai quali essi appartengono. L bacino di un fiume si suddivide in tanti bacini secondari quanti sono i suoi affluenti, ed ognuno di loro, a sua volta, in tanti bacini minori quanti sono i sub-affluenti.

MORFOLOGIA DI ALCUNI TIPI DI ALVEO

Alveo scavato in roccia, entro una valle montana. La forma è irregolare e dipende dalla modalità di erosione, dalla resistenza della roccia, dalla sua fratturazione, ecc… Alveo scavato in roccia, ma coperto in gran parte da accumuli di ciottoli lasciati alla fine di ogni piena. Si abbozza un letto ghiaioso in forma di isole poco durevoli. Il rapporto tra profondità e larghezza è molto minore che nel caso precedente. Alveo caratterizzato da una distesa di alluvioni ciottolose, solcate da una rete di canali poco incisi. E’ tipico dei torrenti, con trasporto abbondante di materiale sul fondo. L’abbondanza del detrito costringe la corrente a deviare e a dividersi frequentemente. Letto largo ad isole sabbiose. E’ simile al precedente ma con isole ben definite costituite da alluvioni prevalentemente sabbiose. Letto a meandri, con sponde ben definite, entro una pianura alluvionale. Si intravedono le tracce di vecchi meandri abbandonati. Il rapporto tra profondità e larghezza torna ad essere maggiore che nei casi precedenti.

CONOIDI ALLUVIONALI

Le conoidi alluvionali sono accumuli di detritici a forma di ventaglio (a settore di cono) che si depositano nelle vallate principali o nelle pianure alla sbocco delle valli fluviali. Generalmente sono grandi e quasi piatte le conoidi che formano le pianure pedemontane, più piccole e ripide quelle dei torrenti minori che si trovano frequenti all’interno delle valli, ai margini dei fondovalle alluvionali. La formazione delle conoidi deriva dalla distribuzione e dal deposito di materiale alluvionale su tutta la superficie della conoide, quando questa è attiva. Ciò avviene per mezzo di frequenti spostamenti dell’alveo del torrente, secondo i raggi del ventaglio.

PIRAMIDI DI TERRA

Le piramidi di terra o pilastri d’erosione sono forme molto caratteristiche, create dal dilavamento pluviale su rocce o accumuli poco coerenti ed eterogenei, contenenti grossi blocchi, come certi depositi morenici e depositi fluvioglaciali delle Alpi. L’erosione delle acque di dilavamento lascia in rilievo esile guglie, sormontate da massi che svolgono un’azione protettiva. Al posto del masso, alla sommità del pilastro d’erosione si possono trovare altri elementi protettivi:

  • un residuo di un banco di roccia più dura
  • un ciuffo di piante

In alcuni casi le guglie resistono o si formano anche in assenza dell’elemento protettivo.

Il bosco
  • Funzione produttiva (produzione di legno, di cellulosa, di sughero, di resine, di distillati)
  • Funzione protettiva (azione antierosiva – regimazione delle acque superficiali e sotterranee, azione consolidatrice, azione frangivento e di barriera a valanghe e frane)
  • Funzione ricreativa (luogo di svago – passeggiate, escursioni, di caccia, di raccolta funghi, di osservazione di flora e fauna)
  • Funzione di regolatore ambientale e funzione igienica (produzione di ossigeno, depurazione dell’aria e dell’acqua, variazione dei movimenti dell’aria, modificazione del clima locale)
  • Funzione naturalistica (serbatoio di biodiversità) costituito da molte specie vegetali differenti, dà riparo a molte specie animali – mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, insetti, ecosistema complesso

Il bosco è una formazione vegetale complessa che si sviluppa da parecchi metri sotto la superficie del suolo (massima profondità raggiunta dalle radici) alle massime altezze raggiunte dai rami più alti (in natura esistono alberi che possono superare i 130 metri di altezza).
Il bosco è un ambiente naturalisticamente eccezionale; alberi e arbusti offrono riparo a molte specie animali (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, insetti).
Gli alberi producono un‘abbondante lettiera e sono, assieme agli arbusti e alle altre piante, una ricca fonte di cibo per molti vertebrati e invertebrati, anelli fondamentali per la presenza della fauna superiore.

TIPI FORESTALI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

Orizzonte Basale

Corrispondente ai territori compresi tra il livello del mare e i 200 metri di quota.
serie della lecceta e pineta mediterranea
serie dei querco-carpineti planiziali

Orizzonte Collinare

Si identifica con la vegetazione delle prime pendici ma anche dell’alta pianura friulane tenendo conto del fatto che il Friuli Venezia Giulia risente moltissimo della vicinanza del mare Adriatico.

  • serie della roverella e ostria
  • serie dei querco-carpineti collinari

Orizzonte montano

L’orizzonte montano corrisponde altimetricamente ad una fascia assai variabile a causa, soprattutto, dell’estrema variabilità dell’esposizione de versanti. Di conseguenza, il limite inferiore oscilla da 300 a 400 metri e quello superiore da 700 a 1000 metri sul mare.

  • serie di faggio
  • serie delle faggete miste ad abete rosso
  • serie delle pinete montane
  • serie delle peccete montane
  • serie degli abetieti

Orizzonte subalpino

È l’orizzonte con cui si conclude, nelle alpi sud-orientali, la vegetazione forestale. Si estende dai 1300-1400 metri fino ai 1600-1700 metri, dove lascia spazio all’orizzonte alpino composto da praterie e dalla vegetazione delle rocce e dei ghiaioni.

  • serie delle peccete subalpine
  • serie dei lariceti
  • serie delle boscaglie a pino mugo e ontano verde

L’ESBOSCO

Tecnica di concentramento dei tronchi di risina. Il limitato attrito legno-legno (migliorabile bagnando la superficie della risina) consente il facile scorrimento del tronco lungo il letto a gronda, allestito con lo stesso materiale. Attualmente vengono anche impiegate “canalette” in lamiera o in materiale plastico.

L’ALBERO

Gli alberi sono organismi capaci di produrre da sè il proprio nutrimento utilizzando l’acqua assorbita dalle radici, l’anidride carbonica assorbita dalle foglie e l’energia fornita dalla luce solare.
Il risultato finale è la formazione di carboidrati (glucosio) che sono la base per la produzione di amido, cellulosa e lignina. Un altro prodotto di queste reazioni è l’ossigeno che viene liberato nell’aria dalle foglie. Questo processo viene chiamato fotosintesi. Il 90% del peso di un albero è costituito da solo tre elementi: carbonio, idrogeno e ossigeno a conferma che la maggior parte delle materie prime necessarie alla crescita delle piante provengono dall’aria e dall’acqua. I restanti elementi sono presenti in piccole quantità ma sono indispensabili per la costituzione dei tessuti vegetali: azoto, potassio, fosforo, magnesio, ferro… si trovano nel terreno disciolti sotto forma di Sali. Vengono assorbiti dalle radici assieme all’acqua e trasportati sotto forma di linfa grezza fino alle foglie. I prodotti della fotosintesi, che comprendono oltre al glucosio altre molecole derivate successivamente da questo, vengono convogliati in soluzione nella linfa elaborata, che, attraverso il libro, sarà distribuita a tutte le cellule della pianta. L’albero per vivere e crescere, come qualsiasi essere vivente, deve consumare energia. Questa energia viene prodotta “bruciando” una parte delle sostanze organiche prodotte nella fotosintesi. Per fare questo la pianta ha bisogno di ossigeno indispensabile in ogni combustione. La pianta assorbe dall’atmosfera, attraverso le foglie, l’ossigeno necessario alla combustione dei carboidrati e libera all’esterno anidride carbonica. Questo processo è detto respirazione e può essere espresso mediante la seguente reazione chimica. La quantità di anidride carbonica emessa dalle piante durante la respirazione è circa la metà di quella assorbita durante la fotosintesi. Un altro prodotto della respirazione delle piante è l’acqua che viene persa, sotto forma di vapore acqueo, dalle foglie (evapotraspirazione). L’acqua utilizzata durante la fotosintesi e quella persa dalle foglie per evapotraspirazione viene continuamente sostituita da altra acqua assorbita dall’apparato radicale.

  • Fotosintesi

l’albero assorbe dal terreno l’acqua e i Sali minerali e dall’aria l’anidride carbonica. Produce così, partendo da sostanze semplici (inorganiche), e con l’aiuto dell’energia solare, sostanze più complesse come i carboidrati.

  • Respirazione

l’albero assorbe dall’aria l’ossigeno che gli è indispensabile per a combustione dei carboidrati per produrre l’energia necessaria alla crescita.

Acqua ed energia elettrica

L’ACQUA COME FORZA MOTRICE

La forza dell’acqua è stata utilizzata fina dai tempi antichi per ottenere energia meccanica con la quale si azionavano differenti tipi di macchine. L’esempio che sicuramente ci è più famigliare è quello dei mulini idraulici dove l’acqua, opportunamente incanalata, faceva girare una particolare “ruota” alla quale era collegata (attraverso degli ingranaggi) la macina. Numerosi altri “opicifi” sono stati nel tempo azionati dall’energia idraulica: battiferro, segherie, filande, ecc…

Solo nel secolo scorso l’uomo ha iniziato a servirsi della forza dell’acqua per produrre un altro tipo di energia facilmente trasportabile e quindi utilizzabile a grande distanza dai luoghi di produzione: l’energia elettrica.

L’ENERGIA ELETTRICA

Prima di illustrare come si utilizza la forza dell’acqua per ottenere energia elettrica è bene spiegare brevemente come si produce la corrente elettrica. La corrente elettrica si ottiene facendo ruotare una calamita in mezzo ad un avvolgimento di filo metallico. Il campo magnetico prodotto dalla calamita ruotando “induce” nell’avvolgimento un campo elettrico e quindi della corrente elettrica. Le macchine che svolgono questa funzione sono chiamate “dinamo” o “alternatori” a seconda che producano corrente continua o corrente alternata. Una dinamo utilizzata nella vita quotidiana è quella che alimenta il fanale di alcune biciclette. Il magnete in questo caso viene fatto girare dalla ruota e quindi azionato dalla persona che pedala. Naturalmente per la produzione di grandi quantità di corrente elettrica vengono costruiti alternatori e dinamo molto grandi; all’interno di queste macchine non ci sono delle calamite (perchè in natura non ne esistono così grandi) bensì dei magneti artificiali ottenuti facendo passare della corrente elettrica attorno a dei nuclei di ferro. La poca corrente necessaria per creare l’elettrocalamita viene prodotta da una dinamo più piccola. L’utilizzo dell’acqua per la produzione di energia elettrica. Dopo questa breve spiegazione su come si ottiene la corrente elettrica è facile intuire che nel processo descritto la forza dell’acqua viene utilizzata per far girare le dinamo o gli alternatori. Questo non avviene in modo diretto ma attraverso una “turbina”; una specie di “ruota” di mulino mossa dall’acqua e collegata alla dinamo e all’alternatore attraverso un albero metallico. L’acqua per far girare la turbina deve aver una certa velocità; è necessario quindi che il punto dove viene prelevata si trovi ad una quota maggiore del punto in cui si trova la turbina. Tutto ciò può essere realizzato in vari modi in funzione della quantità d’acqua che si ha a disposizione, del regime idraulico del corso d’acqua che viene utilizzato, della quantità di energia che si vuole produrre. Un metodo è quello di deviare con un piccolo sbarramento e un’opera di presa una parte dell’acqua di un torrente o di un fiume in un canale. Il canale permette di far arrivare l’acqua nel luogo dove viene prodotta l’energia elettrica. Questo luogo è chiamato “centrale idroelettrica” ed è un edificio al cui interno si trovano tutta una serie di apparecchiature tra le quali le turbine e gli alternatori. In particolare l’acqua, attraverso il canale, viene portata in una “vasca di carico” situata un po’ più a monte e ad una certa quota al di sopra della centrale; da questa vasca partono dei grossi tubi (“condotte forzate”) nei quali l’acqua scende a grande velocità andando a mettere in movimento le turbine ed azionando quindi gli alternatori all’interno della centrale. Nel caso di corsi d’acqua a regine torrentizio può capitare che nei periodi di magra non ci sia acqua sufficiente per far funzionare una centrale idroelettrica. In questi casi si possono costruire delle dighe e creare dei laghi artificiali in cui è possibile immagazzinare l’acqua dei periodi più piovosi per utilizzarla durante la stagione secca. Un serbatoio artificiale può essere paragonato ad una vasca da bagno: sul suo fondo, generalmente in prossimità della diga, esiste uno scarico al quale sono collegate le condotte forzate che portano l’acqua alle turbine della centrale. Nel caso il serbatoio sia pieno e continui ad arrivare più acqua di quella che viene utilizzata dalla centrale idroelettrica, questa viene riservata a valle della diga da uno scarico di superficie che funziona come lo scarico che evita che l’acqua della vasca esca dal bordo quando ci dimentichiamo il rubinetto aperto. A volte la stessa acqua viene utilizzata per far funzionare più centrali; queste sono sistemate ad una certa distanza l’una dall’altra ma soprattutto ogni centrale si trova ad una quota superiore a quella della centrale successiva. In questo modo l’acqua dopo aver fatto girare le turbine della prima centrale può, percorrendo il dislivello che la separa dalla successiva, raggiungere la velocità (e quindi l’energia) necessaria per farne girare le turbine. A valle della seconda centrale ce ne può essere una terza, situata ancora più in basso, e così via. Infine l’acqua viene restituita al fiume o al torrente dal quale è stata derivata oppure può essere utilizzata per altri scopi quali l’irrigazione dei campi o al servizio del acquedotti.

IL TRASPORTO E LA DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA

Come già accennato l’energia elettrica generata nelle centrali può essere facilmente trasportata e utilizzata in luoghi anche molto lontani: la corrente elettrica che utilizziamo nelle nostre case può essere stata prodotta anche in centinaia di chilometri di distanza dai nostri paesi. Il trasporto dell’energia avviene attraverso i fili dell’alta tensione. Questi sono così chiamati in quanto la corrente che corre lungo di essi ha un voltaggio di centinai di migliaia di volt. La corrente elettrica che utilizziamo nelle nostre case ha invece una tensione di 220 volt, mentre la corrente prodotta nelle centrali ha una tensione ancora diversa. Esistono delle macchine chiamate “trasformatori” che sono in grado di cambiare la tensione della corrente elettrica. La corrente elettrica prodotta nelle centrali viene trasformata in corrente ad alta tensione per essere trasportata nelle linee elettriche per lunghe distanze; poi altri trasformatori riducono la tensione per far arrivare la corrente a 220 volt nelle case.

LE DIGHE

Le dighe sono opere di sbarramento dei corsi d’acqua che servono a formare dei serbatoi (laghi artificiali o invasi) che hanno almeno uno dei seguenti scopi:

  • Produzione di energia elettrica
  • Rifornimento di acqua potabile
  • Irrigazione
  • Laminazione delle piene

Le dighe si distinguono in tre tipi fondamentali in base al modo in cui resistono alla spinta idrostatica dell’acqua degli invasi:

  • A gravità, in cui alla spinta dell’acqua si oppone il peso proprio della diga
  • Ad arco, che scaricano al spinta dell’acqua sui fianchi della valle dove è impostata la diga
  • Ad arco-gravità (o ad azione combinata), in cui collaborano alla resistenza sia il peso proprio che l’effetto arco.

Elementi accessori di una diga:

  • l’opera di presa, che comprende le strutture e i meccanismi necessari per prelevare l’acqua dal serbatoio per gli utilizzi acquedottistici, irrigui, o di produzione di energia elettrica.
  • le opere di scarico:

– lo sfiorante, o scarico di superficie, attraverso il quale le portate del torrente, a serbatoio pieno, possono oltrepassare la diga senza danneggiare né le opere artificiali né l’alveo naturale;

 lo scarico di fondo, mediante il quale si rende possibile effettuare il rapido svuotamento del serbatoio per consentire l’ispezione delle parti normalmente sommerse

LA VECCHIA DIGA

La “vecchia diga” si trova lungo la forra del Cellina qualche centinaio di metri a valle della confluenza del torrente Molassa.

Era l’opera di sbarramento e di presa dei primi impianti di tipo industriale che hanno sfruttato le acque del Cellina per scopi idroelettrici.

È stata costruita tra il 1900 e il 1905 e serviva a deviare una parte dell’acqua del torrente nel canale di adduzione che alimentava i quattro gruppi generatore turbina Francis-alternatore ad asse orizzontale della Centrale di Malnisio.

La diga è alta solo 18 metri; di fatto non si tratta di una diga vera e propria bensì di una traversa: un’opera di sbarramento, posta ortogonalmente rispetto al torrente che serve a captare solo una parte dell’acqua senza creare un invaso a monte.

La portata del canale era quindi inferiore alla portata minima del torrente in modo da disporre sempre dell’acqua necessaria a far funzionare la centrale. In questo modo inoltre, l’acqua che non veniva deviata nel canale proseguiva lungo il suo corso normale nell’alveo del torrente.

Le fondazioni della diga sono in calcestruzzo mentre la parte in elevazione è in pietra squadrata; gli scivoli su cui l’acqua non captata scende per proseguire poi lungo l’alveo naturale, sono ricoperti di grossi blocchi squadrati in porfido.

Sopra la diga era stato ricavato un impalcato largo tre metri su cui passava la strada che collegava Montereale con Andreis e Barcis.

LE TURBINE

Le turbine idrauliche trasformano l’energia cinetica dell’acqua in movimento rotativo. Vengono azionate dall’acqua che scende, da un certo livello ad uno più basso, lungo delle condotte forzate. Il movimento rotativo della “girante” (così viene chiamato quel dispositivo, all’interno della turbina, che viene fatto girare dall’acqua) viene poi trasmesso ad una dinamo o ad un alternatore attraverso un albero metallico.

Esistono tre tipi fondamentali di turbine:

  • La turbina a Pelton, ad asse generalmente orizzontale, è particolarmente adatta ad alti dislivelli. La girante è costituita da un disco alla cui periferia sono montate el palette con forma a doppio cucchiaio.
  • La turbina Francis, ad asse verticale o orizzontale, è usata per medi dislivelli e medie portate. Si caratterizza per la camera forzata a spirale: “chiocciola”.
  • La turbina Kaplan, ad asse generalmente verticale, viene impiegata nelle centrali idroelettriche di grande potenza e rappresenta il tipo di turbina con maggiore efficienza. La girante ha la forma di un’elica con pale mobili che possono essere orientate per meglio sfruttare variazioni di portata o di velocità dell’acqua.
Sulle traccie degli animali

Indici di presenza

La presenza in una determinata zona di una specie animale può essere dedotta, oltre che con l’osservazione diretta, attraverso il rinvenimento delle sue “tracce”. Alcune categorie di animali possono avere una presenza molto rarefatta sul territorio; altri animali hanno comportamenti molto elusivi: questo li rende particolarmente difficili da osservare. Esistono diverse categorie di “segni” lasciati dagli animali determinati dalle loro abitudini e da i loro comportamenti.

La presenza di una specie di animale in un territorio può essere dedotta attraverso il ritrovamento di:

  • orme, tracce, piste
  • tane, nidi e giacigli
  • resti di pasto e segni dovuti alla ricerca del cibo
  • ciuffi di pelo e piume impigliati tra i rami o cespugli
  • escrementi
  • graffi, scortecciature, segni lasciati sugli alberi

Gli indici di presenza possono rivelarsi molto utili se permettono di determinare la presenza di una nuova specie animale (o il suo ritorno) in un territorio prima che questa venga osservata direttamente. Negli scorsi anni, questi “segni” hanno permesso di rivelare il ritorno nella nostra regione di alcuni grandi carnivori: orso, lince, lupo. Tali indici vengono tuttora utilizzati per monitorare la presenza e gli spostamenti di questi animali nel territorio del Friuli Venezia Giulia.

LE IMPRONTE

Per orma si intende l’impronta lasciata sul terreno (fango, sabbia, brina, neve) da una singola zampa. Per traccia si intende l’insieme delle orme di tutte le zampe dell’animale. La posizione diversa delle orme nella traccia indica l’andatura dell’animale: passo, trotto, corsa, salto. Per pista si intende la successione delle tracce lasciate lungo un percorso dall’animale nei suoi spostamenti. Una pista può fornire diverse informazioni a chi la osserva; a volte non è solo possibile individuare la specie dell’animale che l’ha lasciata; in alcuni casi si possono anche definire:

  • il sesso dell’animale
  • l’età approssimativa dell’animale
  • la velocità dell’animale

Con l’evoluzione delle specie, gli arti dei mammiferi hanno subito nel tempo modificazioni che li hanno adattati ai diversi tipi di andatura:dall’originario piede plantigrado, lento (dell’orso), derivò quello digitigrado, veloce (della volpe e della lepre), e infine quello ungulatigrado o ungulato, velocissimo (del cervo o del camoscio). Contemporaneamente si ebbe un allungamento proporzionale degli arti.

  • I plantigradi camminano appoggiando al terreno l’intera pianta del piede, dotato di cuscinetti plantari, di largo tallone e di cinque dita munite di unghioni.
  • I digitigradi camminano poggiando al suolo solo tre dita e non tutta la pianta del piede, hanno cuscinetti plantari, più piccoli e quattro o cinque dita dotate di unghie robuste.
  • Gli ungulatigradi a loro volta suddivisi in artiodattili e perissodattili poggiano due dita o una soltanto.
Ecologia

Un Ecosistema è costituito da:

  • componente non vivente di un certo ambiente, ovvero ambiente fisico e parametri relativi al clima
  • componente vivente di un certo ambiente, ovvero tutti gli organismi viventi
  • complesso di relazioni che lega gli elementi delle varie componenti, ovvero definisce i rapporti ecologici:

– relazione d’habitat, rapporto organismo-ambiente
– relazione trofica, rapporto tra organismi

Gli animali si procurano le sostanze nutritive di cui hanno bisogno mangiando piante o altri animali che a loro volta hanno mangiato piante. Quando un erbivoro mangia una pianta, e poi un carnivoro mangia l’erbivoro, la successione degli eventi viene chiamata catena alimentare (o sequenza trofica).

In una catena alimentare si possono distinguere:

  • I produttori
  • I consumatori primari – erbivori/frugivori
  • I consumatori secondari – insettivori e carnivori (predatori)

Tra gli organismi viventi in un ecosistema si possono costruire numerose catene alimentari. Lo stesso organismo (produttore o consumatore) può comparire in più catene.

Animali diversi hanno spesso in comune la stessa fonte alimentare; questo induce tra essi delle relazioni di competizione. Numerosi predatori, che occupano l’ultimo anello delle catene alimentari più lunghe, hanno una dieta varia. L’intreccio di più sequenze alimentari lineari definisce una rete alimentare.